Mi spiace un sacco non aver potuto scrivere la mia newsletter di settembre. I motivi sono stati diversi. Inaspettatamente ad agosto ho deciso di partire per l’Argentina, quindi il 1° settembre ero nell’altro emisfero, proprio durante gli ultimi giorni invernali. Mancavo da due anni e mezzo e sentivo la necessità di tornare. Non ero mai passata così tanto tempo lontana dal mio paese. Per rientrare ho dovuto prendere ben tre voli, facendo uno scalo di dieci ore ad Atlanta, città a sudest degli USA, dove ho visitato un meraviglioso museo di arte. Infine, al mio rientro, ho preso il covid e subito dopo è iniziata la scuola.
Avevo pensato di continuare le storie sui colori, ma invece ho deciso di raccontarti qualche riflessione sulla esperienza vissuta proprio passando attraverso la città culla della cultura afroamericana negli USA, di Martin Luther King e della sede della Coca Cola. Atlanta ha circa 500000 abitanti, più o meno li stessi di Genova, ma con la densità di popolazione dimezzata.
Tornare dopo 30 anni negli USA mi ha fatto venire in mente tante cose. Il paese è immenso, l’aeroporto di Atlanta più grande della città di Piacenza. Distanze enormi, trasporti efficienti che mi hanno portato in 30 minuti al High Museum of Art, in centro città, situato in un quartiere tra residenze e grattacieli con strade larghissime e pulitissime. Un mondo completamente diverso da quello da cui venivo e da quello in cui stavo andando. Si respirava un’aria diversa, come un’organizzazione di base che funzionava. La popolazione è soprattutto afroamericana (circa il 55%) e decisamente con problemi di sovrappeso. Infatti, i negozi dell’aeroporto vendevano prevalentemente zucchero in tutte le sue varianti. Alle ore 9 del mattino ero già davanti al Museo. Un edificio enorme, progettato circa 40 anni fa dall’architetto nordamericano Richard Meier, rigorosamente bianco (vedi foto), come tutte le sue opere e successivamente ampliato nel 2005 dall’italiano Renzo Piano.
Nel giardino dell’edificio c’erano già delle bellissime opere d’arte, come la Lichtenstein house, un’opera che per capirla dobbiamo muoverci e renderci conto che ciò che vediamo non è vero.
Abituata a visitare musei italiani, generalmente all’interno di vecchi palazzi, il museo ad Atlanta sorprende per le sue dimensioni, sia dall'esterno che dagli spazi interni, e in particolare dallo spazio centrale che fa da perno all’edificio e dove la luce filtra dalle pareti e dal soffitto rendendolo maestoso. È come entrare in un tempio dell’arte ma con la sensazione di essere sopra la cima di una montagna. Spazi dilatati, illuminati, gente che cammina in silenzio tra le opere che hanno il giusto spazio per essere viste senza dover sgomitarsi l’una con l’altra come succede spesso nei pienissimi musei italiani. È una carezza al cuore, all’anima e alla visione. L’arte dell’architettura, della scultura e della pittura qui, ti abbracciano dolcemente.
Esterno ed interni dell’High Museum of Art, Atlanta USA
La maggior parte delle collezioni presenti provengono da donazioni familiari ma anche da acquisti fatti dallo stesso museo. Il museo ospita opere che vanno dal rinascimento (Guercino) a un importante numero di opere impressioniste (Monet, Manet, Sisley, ecc), dall’arte moderna americana (Rothko, Gottlieb, ecc) all’arte contemporanea, ma ospita anche una curiosa e bellissima mostra di arte africana contemporanea e infine una collezione molto particolare, dedicata all’arte popolare e autodidatta (Folk and Self-Taught Art).
È la prima volta che vedevo questo tipo di arte in un museo così importante. In Italia invece questo tipo di arte lo si chiama Naif, artisti che non hanno mai fatto parte dell’accademia ma che con la loro espressione artistica sono riusciti a colpire le persone. Come Antonio Ligabue o Maurizio Cattelan, per esempio. Due artisti con linguaggi espressivi opposti dal punto di vista artistico che non hanno mai studiato arte ma che fanno ufficialmente parte del mondo dell’arte.
Ora, ho pensato a quanti bravi artisti che conosco e ammiro non hanno avuto un insegnamento accademico. A dire il vero neanche io ho fatto una vera e propria scuola di arte, ma solo seguito alcune poche lezioni con artisti argentini e spagnoli. E poi è stato Rothko che mi ha spinto a dipingere, pur non avendolo mai conosciuto.
Quindi ho immaginato quanto sarebbe stato bello poter essere presente in un museo del genere insieme a tantissimi altri artisti autodidatti e non accademici, che dipingono per passione, per desiderio di comunicare, di conoscersi, riuscendo a colpire le persone. Perché a mio parere è quello l’obiettivo ultimo dell’arte, scuotere le anime, invitare alla riflessione, alla propria introspezione. Ti riporto di seguito due opere che mi sono piaciute moltissimo: la prima intitolata Taago è un telo di circa 2,50 x 1,50 m, fatto interamente con lattine e tappi di bottiglie in alluminio di un noto artista africano chiamato El Anatsui, che vive in Nigeria, e l’altro due deliziose sedie antropomorfiche fatte con ferro battuto.

Mi auguro che queste poche parole ti abbiano incuriosito per approfondire l’arte non accademico.
Per concludere e prima di salutarti ti anticipo una notizia. In estate ho creato la mia prima collezione di collage con carta da pacchi riciclata intitolata Behind Universe e la presenterò nella prossima newsletter! E ne sono molto felice per il risultato (un dettaglio lo trovate in apertura). Dei collages pieni di colori, forza ed energia e con un prezzo alla mano di tutti, in modo che questo Natale possiate regalare arte a chi vi è più vicino, un regalo creativo, diverso e unico!
Ora mi fermo qui. Spero che questa newsletter ti sia piaciuta. A breve invierò la newsletter di Ottobre…
A prestissimo allora!
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