Ciao!
Nella newsletter di questo mese parleremo del concetto di carico mentale nella gestione della casa, nelle relazioni e nel suo impatto sulla società. Troverai notizie, articoli interessanti, letture stimolanti e molto altro ancora.
Buona lettura!
Alessandra & Valeria
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😪 Non sei stancə, è il patriarcato
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Con “carico mentale domestico”, o semplicemente “carico mentale”, si intende il peso di dover tenere a mente tutti gli elementi legati alla gestione delle faccende legate all’ambiente della casa e della famiglia. A usare questo termine per la prima volta è stata la sociologa francese Monique Haicault, nel suo testo La gestione ordinaria della vita a due.
Nella società occidentale, è comune che il carico mentale ricada sulle donne, sia all’interno di una coppia, sia in una famiglia con figliə. Si tratta di un lavoro pesante, costante e invisibile che viene affidato alle donne in modo quasi automatico. Una visione patriarcale della società tende a pensare che le donne abbiano una predisposizione “naturale” verso la gestione della casa, degli affetti e specialmente della gestione deə bambinə. Non è ovviamente così e molte donne si trovano a dover faticare per gestire il carico mentale domestico, spesso avendo allo stesso tempo un lavoro fuori casa. Il lavoro casalingo è lavoro a tutti gli effetti, ma non è retribuito, e viene dato per scontato come parte naturale del ruolo di compagna, moglie o madre.
Michela Murgia, nella prefazione del libro Bastava chiedere (di cui parleremo in modo più approfondito più avanti), ha scritto: “Quando i miei genitori adottivi sono invecchiati, mia madre mi confidava che nelle sue preghiere chiedeva a Dio una sola grazia: di non morire prima del marito, perché senza di lei sarebbe stato un uomo perso. Io replicavo che a farsi da mangiare era capace e che a pagare le bollette e a sbrigare le incombenze domestiche avrebbe imparato, come tutti. Lei scuoteva la testa e diceva: “Non capisci. Non è che non saprebbe farle. Non saprebbe proprio pensarle”. Quel che voleva dire è che se lui fosse morto prima, lei sarebbe rimasta vedova; ma se a morire per prima fosse stata lei, lui sarebbe rimasto orfano.”.
Le donne che devono sostenere il carico mentale sono inoltre spesso vittime di sensi di colpa se non riescono a stare dietro a tutte le incombenze: sanno che i propri compagni e tutta la famiglia dipendono da loro e se smettessero di occuparsi delle faccende domestiche tuttə ne risentirebbero. Il carico mentale è però ben più che occuparsi di cucinare e tenere pulita e in ordine la casa. Rientrano in questa definizione anche tutte le questioni legate all’ambito relazionale e famigliare: occuparsi dei regali di compleanno, di sentire i parenti, di stare dietro alla scuola e alle attività extrascolastiche dei figli, delle visite mediche, dei vestiti da lavare o acquistare e così via.
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Andrea Colamedici di Tlon ha parlato di carico mentale in questo video specialmente indirizzato agli uomini.
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Il controverso libro Odio gli uomini della scrittrice francese Pauline Harmange parla di come, all’interno di relazioni eterosessuali, ma non solo, esista un carico mentale emotivo che viene portato principalmente dalle donne, definito dalla scrittrice “emotional labour”. Si tratta di un carico che ha a che fare con i sentimenti e con lo stato della relazione, che comporta lo sforzo di regolare le proprie emozioni per il bene di qualcun altro e che può assumere diverse forme in una qualsiasi relazione. Harmange spiega che, in una relazione eterosessuale, sono solitamente le donne a parlare dei propri sentimenti, ad andare più spesso in terapia, a leggere libri per migliorare la relazione, a cambiare lavoro per essere più disponibili, in un continuo processo di "self-improvement".
Harmange ricorda che non esistono differenze biologiche o “naturali” che fanno in modo che alle donne questo sforzo risulti più facile, semplicemente ci si aspetta che le donne, fin da bambine, siano sensibili e pronte a sostenere ed essere di conforto. L'autrice confronta poi questo processo con l’imparare una nuova lingua straniera: è più difficile da adulti ed è decisamente più semplice appoggiarsi alla persona che già parla la lingua, invece che sforzarsi di impararla.
Anche nelle relazioni poliamorose ci sono persone che si sentono responsabili di portare il carico di tutte le relazioni su di loro. Quando si è donna in relazioni poliamorose spesso il carico si moltiplica, specialmente se si è parte di una famiglia. “Nel poliamore spesso c'è unə caregiver primariə che porta il carico mentale e ha la responsabilità assoluta su tutti i bambini. Pur lottando per l'uguaglianza, anche nelle relazioni poly ci dimentichiamo che alcune cose sono strutturalmente disuguali”. Così una donna e madre in una relazione poly spiega in un post il problema e leggendo il suo sfogo si capisce come questi aspetti risuonino non solo in ambito poly, bensì nella maggior parte delle famiglie.
Si parla di carico mentale anche quando, appartenendo a gruppi marginalizzati, ci si sente in dovere di “educare” le altre persone su temi legati a femminismo, razzismo, discriminazione sessuale e così via. Nel numero della nostra newsletter Cocktail Estivo avevamo parlato brevemente del libro Perchè non parlo più di razzismo con le persone bianche (Why I’m No Longer Talking to White People About Race). In questo saggio, l’autrice Reni-Eddo Lodge afferma: “Non posso continuare a esaurirmi emotivamente cercando di trasmettere questo messaggio (cosa sia razzista e perché).”. Riportiamo un estratto (tradotto) dal suo blog del 2014, che ha dato vita all’idea di scrivere un libro su questo tema:
“Il viaggio verso la comprensione del razzismo strutturale richiede ancora che le persone nere diano la priorità ai sentimenti delle persone bianche. Anche se possono sentirti, non stanno davvero ascoltando. È come se succedesse qualcosa alle parole mentre lasciano la nostra bocca e raggiungono le loro orecchie. Le parole colpiscono una barriera di negazione e non vanno oltre. (...) Ho visto persone nere scoppiare in lacrime mentre lottavano per far capire a un uomo bianco come le sue parole stessero rafforzando e perpetuando uno standard razzista bianco. Per tutto il tempo fissava indifferente, completamente confuso da quel dolore, nel migliore dei casi banalizzandolo, nel peggiore ridicolizzandolo. (...) Chi vuole davvero essere avvisato di un sistema strutturale che li avvantaggia a spese degli altri?”.
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🎥 Tra intrattenimento e riflessione sociale
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Workin' Moms è una divertente serie tv canadese disponibile su Netflix, che segue le vite di quattro donne diventate mamme da poco. Al di là dei momenti di spensieratezza che riescono a creare insieme, le protagoniste hanno in comune il sentirsi sopraffatte e travolte dalla loro vita, dallo stress e dalla pressione di doversi occupare di troppe cose tutte insieme in un mondo che non sembra proprio girare al loro ritmo.
La serie è stata apprezzata per aver dipinto in modo realistico il carico mentale che caratterizza la vita delle giovani donne e madri nella società occidentale, ma è anche stata criticata per aver rappresentato solo un gruppo molto specifico: i personaggi principali sono infatti principalmente persone bianche, con buoni lavori e appartenenti ad una classe benestante; anche se queste donne lottano per essere buone mamme e professioniste, rimangono comunque in una condizione di privilegio rispetto ad altri gruppi di persone.
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Emma, nome d’arte di Emma Clit, è una fumettista, blogger e ingegnera informatica francese, divenuta celebre per la sua storia a fumetti pubblicata nel 2017 dal titolo Fallait demander, Bastava chiedere. Inizialmente postata sul suo blog, la storia è diventata parte di una raccolta omonima pubblicata in Italia da Laterza nel 2020.
Il fumetto è incentrato sul tema del carico mentale domestico e di come sia solitamente tutto addossato alle donne, sia in coppia sia in famiglia. Il titolo della storia richiama una frase tipicamente detta dagli altri componenti della famiglia, quasi sempre da uomini. “Se avevi bisogno d’aiuto (in cucina, nella gestione dei bambini, nelle pulizie), bastava chiedere, ti avrei aiutata”. Questo sottintende però che la partecipazione alle incombenze domestiche sia solo un aiuto alla persona che ne ha il compito principale, la donna. Si tratta di un pensiero viziato, in quanto l’unico “aiuto” che migliorerebbe davvero la situazione sarebbe quello di dividersi equamente non solo il carico di lavoro in casa, ma anche quello mentale, senza il bisogno che una delle due persone espliciti cosa c’è da fare.
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Quaderno proibito è un romanzo scritto da Alba De Céspedes e pubblicato nel 1952, rivoluzionario per l’epoca. La storia ha per protagonista Valeria, una donna di quarantatré anni che conduce la tipica vita di moglie e madre a Roma negli anni del secondo dopoguerra. È lei a gestire la casa e tutte le faccende domestiche, nonostante lavori anche in un ufficio.
Una domenica mattina, entra in una tabaccheria per comprare le sigarette al marito e vede esposto un quaderno dalla copertina nera, che la attrae immediatamente. Chiede al negoziante quanto costi, ma lui le dice che non può venderglielo perché secondo le regole del tempo la domenica può vendere solo sigarette. Valeria riesce però a convincerlo e quel quaderno diventa quindi proibito, tanto che Valeria lo nasconde non solo nel tragitto per rientrare, ma anche una volta tornata a casa, per evitare che suo marito e i suoi figli possano trovarlo e magari prenderlo per usarlo.
Valeria inizia, sempre di nascosto da tutti, ad annotare sul suo quaderno pensieri e resoconti delle proprie giornate e, mettendo nero su bianco ciò su cui non aveva mai avuto l’opportunità di riflettere, comprende quanto tutto in casa dipenda da lei e che non ci sia mai uno spazio o un momento per sé (come auspicherebbe invece Virginia Woolf). Scrivere sul suo quaderno la mette in agitazione, perché sente di star rubando del tempo prezioso che potrebbe impiegare nel prendersi cura della casa e della sua famiglia. Continuare a scrivere rappresenta un gesto di ribellione che le permette di mettere momentaneamente da parte ciò che la società e la sua famiglia si aspettano da lei, riappropriandosi della sua vita e dei suoi desideri.
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Profili Instagram da seguire
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Natalia Levinte si definisce sul suo profilo Instagram “Paladina delle mamme”. Nel suo podcast L’ora della mamma e nei corsi da lei creati si occupa di riflettere su maternità, vita di coppia e famiglia, con l’obiettivo di smantellare gli stereotipi che vorrebbero le donne madri perfette “naturalmente” e angeli del focolare dediti “per indole” ai lavori domestici. In questo post, Levinte parla proprio di carico mentale e di come affrontare l’argomento in famiglia.
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“Le donne sono più portate ad occuparsi della casa, gli uomini a certe cose non ci arrivano proprio, sono fatti così! In più le donne hanno l’istinto materno per cui sanno naturalmente cosa sia meglio per i propri figli, è naturale che siano loro ad occuparsene maggiormente.”
Non c’è nessun elemento genetico, collegato al sesso biologico o al genere che porti le donne ad essere “naturalmente” più portate all’occuparsi di pulizie, riordino e faccende domestiche. Si tratta piuttosto di un aspetto culturale parte della società patriarcale, che prevede le donne come le principali responsabili dell’ambito casalingo e della famiglia. Già in passato ciò costringeva le donne in un ruolo che non permetteva loro di dedicarsi quasi a nient’altro.
Da quando sempre più donne hanno cominciato a lavorare fuori casa, anche per la necessità di contribuire alle esigenze economiche della famiglia, si tratta di un’ingiustizia ancora maggiore, che ha come conseguenza il fatto che molte donne svolgano di fatto due lavori, di cui uno senza retribuzione. Portare avanti lo stereotipo per cui gli uomini siano incapaci in questi compiti e che le donne invece siano decisamente migliori non fa altro che alimentare la convinzione secondo cui gli uomini non dovrebbero neanche tentare di aiutare in casa per evitare di fare disastri, costringendo così le donne ancora di più in questo ruolo.
È stato inoltre provato da sociologə ed espertə che il cosiddetto “istinto materno” non esista. Insistere sul fatto che ogni donna sappia per natura occuparsi dei propri figli contribuisce a creare enormi sensi di colpa, soprattutto nelle mamme che si trovano in difficoltà. Di questo argomento si sono occupate Valentina Barzago e Agnese Mosconi nel podcast Acerbe.
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Appunti è un progetto nato e curato da Alessandra Tosi e Valeria Rapa, compagne di università diventate amiche scambiandosi proprio degli appunti: ciò che mancava ad una lo aveva l’altra, rimanendo sempre sulla stessa linea d’onda. Dalle lezioni ai temi sociali e culturali il passo è stato breve: anche se a distanza, Alessandra e Valeria non perdono mai occasione di scambiarsi idee, consigli e opinioni sul mondo che le circonda.
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ALESSANDRA TOSI
Nata e cresciuta nella nebbiosa provincia di Asti, scopre un mondo nuovo grazie alla laurea in Lingue e all'Erasmus in Inghilterra. Si trasferisce a Berlino e frequenta l'università Humboldt, ma non dimentica l'Italia, in cui torna ogni due mesi. Scrive la propria tesi magistrale sui richiedenti asilo e il sistema di accoglienza in Europa. Sogna di cambiare il mondo, ma ha sempre sonno.
VALERIA RAPA
Nasce a Torino nel 1995, con due mesi d'anticipo. Si laurea in Lingue e comincia subito a lavorare in un contesto internazionale, grazie a cui ogni giorno si relaziona con persone di tutto il mondo. Viaggia molto, legge di continuo ed è sempre alla ricerca di notizie e curiosità. Femminista e attenta all'ambiente, va al cinema più che può e canta in un gruppo rock.
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